Il Ministro dell'Agricoltura, delle Foreste e della Pesca giapponese, Sig. Yoshimasa Hayashi, ha incontrato il Segretario del Pontificio Consiglio, S. Ecc. Mons. Mario Toso, e il Sottosegretario, Dott.ssa Flaminia Giovanelli, nel corso di una visita in Vaticano, lo scorso lunedì 5 maggio.
Il Signor Ministro, accompagnato da S. Ecc. Sig. Teruaki Nagasaki, Ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede, e da una delegazione del governo giapponese, si è voluto confrontare con il nostro Dicastero circa le questioni riguardanti l'agricoltura e l'ambiente.
Pubblichiamo le riflessioni del Pontificio Consiglio a conclusione dell'incontro.
La fede cattolica ha una dimensione operativa, sociale. Si può dire che la Chiesa è attenta al bene-essere della persona umana in tutti i suoi aspetti, compresi quelli relativi all’economia.
Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (=PCGP) è una delle istituzioni che, dopo il Concilio Vaticano II, ha contribuito allo sviluppo e all'arricchimento della cosiddetta Dottrina sociale della Chiesa.
Le questioni della fame, della povertà e della carità sono ben presenti nei Vangeli, ma anche negli scritti di numerosi pensatori cattolici, nonché nel lavoro di Congregazioni missionarie. Nella storia recente queste problematiche sono state particolarmente approfondite dal Concilio Vaticano II e specialmente dai Pontefici Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.
Agricoltura, fame, povertà
Desta preoccupazione la situazione dell'agricoltura in numerose zone del mondo: povertà di zone rurali o costiere, povertà di molti piccoli produttori di cibo. E, inoltre: inadeguato accesso al credito, al mercato, alla formazione professionale, all’istruzione di base, alla giustizia, a servizi sociali. Le zone di agricoltura povera spesso risultano essere gestite male, poco rispettate dal punto di vista della sostenibilità ecologica: a) alcune comunità povere, in assenza di alternative, usano ripetutamente tecniche dannose per l'ambiente (debbio); b) i contadini poveri spesso sono relegati a coltivare terre inquinate, poco fertili, o che altri hanno in precedenza reso tali.
Tenendo presente che l'alimentazione (e in generale la riflessione sulla sicurezza alimentare) non è solo una questione di quantità di cibo ma anche di qualità (non si deve evitare solo il cibo-spazzatura, ma anche rimediare a carenze di vitamine o minerali), pare fondamentale:
1. promuovere un'agricoltura di qualità, che produca cibi sani e diversi, rispettando al massimo la dignità dei lavoratori che producono o trasformano il cibo, nonché l'ambiente (a livello globale come al livello dell'ecosistema locale), alla ricerca, per quanto possibile, di produttività, decentramento, resilienza (a evoluzioni nei mercati, a malattie).
2. lo sviluppo economico armonioso di tutte le comunità produttrici di cibo nelle zone
povere, con l'aiuto di enti internazionali, ONU, ONG, Governi e amministrazioni locali,
sempre alla luce del principio di sussidiarietà. Per questo servono politiche apposite.
3. fornire ai contadini, agli allevatori, ai pescatori un'assistenza globale: senza limitarsi a
un solo aspetto (formazione, o accesso ai capitali, o industrializzazione), bensì
prendendo in considerazione anche necessità sociali, spirituali, culturali, famigliari.
4. ricavare il meglio dalla nozione di «sicurezza alimentare» come da quella di
«sovranità alimentare»: non cercare la propria sicurezza a scapito di quella altrui, non
difendere la sovranità di chi produce cibo trascurando la situazione di estrema
indigenza di chi nemmeno è in grado di produrre.
5. realizzare sempre meglio quella che la Chiesa chiama destinazione universale dei beni
(nel caso che ci interessa sementi, terra, acqua, fertilizzanti,...) in tutti i suoi aspetti
(priorità ai più poveri, ai più bisognosi, impegno ad usare responsabilmente le risorse
naturali,... giustizia contributiva, distributiva e riparativa).
6. identificare quei meccanismi di speculazione irresponsabile sui cibi e combatterli.
Investimenti
Riguardo agli investimenti, a quegli investimenti che sono ritenuti necessari per sviluppare le
zone rurali (e anche a quegli investimenti che talvolta vengono citati nelle discussioni
concernenti la green economy o la blue economy):
1. da una parte, il PCGP osserva come - comprensibilmente in un certo senso - ci si
preoccupi di massimizzare la sicurezza dell'investimento (investire solo in comunità di
pescatori o produttori formali, di una certa importanza,... fare in modo che
l'investimento venga rimborsato nei tempi e con gli interessi stabiliti,...) ma ci si
preoccupa - purtroppo, gravemente - molto meno della sicurezza delle comunità
coinvolte dagli investimenti: verranno rispettati i loro diritti? la loro cultura? la loro
libertà di azione (politica, economica,...)?
2. c'è una differenza fra "investire in terra" (cioè nel controllo della terra o delle
sementi) e "investire nell'agricoltura" (formazione dei contadini). Con la confusione
di concetti simili si generano visioni divergenti sulle finalità delle politiche, sul modo
in cui investire, sulle priorità per la ricerca, sugli accordi commerciali. Certo, è difficile
circoscrivere precisamente cosa si intende per land grabbing, ma è comunque
indubitabile che da 10-20 anni esistono nuovi sistemi di colonizzazione, di latifondo
se si vuole. Nazioni povere vendono o affittano una parte del loro terreno (a
investitori nazionali o stranieri), e questo, in determinati contesti e con determinati
effetti collaterali (effetti negativi sulla sicurezza alimentare locale, sui diritti delle
comunità locali, sull'occupazione, sulla qualità del suolo eccessivamente sfruttato),
può essere moralmente riprovevole.
Il PCGP segue con interesse queste questioni. Nei prossimi mesi, d'altronde, il Dicastero
ospiterà seminari di approfondimento proprio sugli investimenti.
In conclusione
Difficilmente è accettabile che la «privatizzazione» di vaste regioni del mondo venga presentata come necessaria, da fare a tutti i costi, senza fermarsi sulle cause che hanno portato alla situazione attuale. Decenni di liberalismo sfrenato e di accordi commerciali impostati spesso a beneficio delle economie più ricche e competitive hanno profondamente ferito l'agricoltura di molti Stati poveri e molto popolati. Alcuni Stati agricoli un tempo nettamente esportatori hanno addirittura visto la loro bilancia commerciale pesantemente deteriorarsi! Se alcuni Stati esportano cibi pregiati, troppo spesso sono le multinazionali che ne ricavano il maggior tornaconto. Troppi contadini rimangono esclusi dall'accesso al mercato. Le attuali politiche (cioè i Governi, i governanti, i responsabili dei popoli) sembrano continuare a trascurare l'agricoltura e gli agricoltori (seguendo una logica che privilegiò prima l'industria, e ora il soft power dei capitali e dei brevetti).
Diventa, allora, necessario interrogarsi sulle molteplici ragioni del mancato sviluppo agricolo di tante zone del mondo. In particolare occorre interrogarsi sulla cause strutturali. Non si tratta solo di modificare qualche meccanismo secondario in modo da emettere meno CO2! Non si tratta nemmeno di continuare a fare business as usual in verde, di continuare a privilegiare i profitti rispetto all'ecologia e specialmente rispetto alla persona umana. Occorre, invece, ripensare la produzione di cibo (nei Paesi ricchi, emergenti, più poveri) e al contempo l'economia e la finanza in un contesto globale: quello del bene comune della famiglia umana, che è anche il bene di ogni singola persona. Per questo, la Dottrina sociale della Chiesa invita incessantemente a riflettere e a ricercare lo sviluppo integrale, non solo lo sviluppo sostenibile. Solo adottando una visione globale della persona umana e della sua dignità si può approdare ad una valida ed efficace concezione dello sviluppo.