European Legal Order vs the National Family Policies (28 giugno 2013)

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Famiglia

Intervento della dott.ssa Flaminia Giovanelli, Sottosegretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, presso il Dignitatis Humanae Institute (DHI) di Roma.

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European Legal Order vs the National Family Policies

 

1.         Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (PCJP) è uno dei Dicasteri post-conciliari, istituito da Paolo VI dietro esplicita richiesta dei Padri Conciliari espressa nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.

            Se una delle caratteristiche del Concilio è l’"apertura al mondo" che “l’aggiornamento” della Chiesa, voluto da Giovanni XXIII, ha portato con sé, si può dire il Consiglio riflette questa apertura con il compito di stimolare i cattolici a promuovere la giustizia sociale tra le nazioni, la pace e lo sviluppo (Gaudium et Spes, 90). A questo scopo il Consiglio si serve di uno strumento che è la dottrina sociale della Chiesa. Uno strumento che il Consiglio ha anche il compito di "affinare". La Pastor Bonus, la Costituzione apostolica con cui Giovanni Paolo II ha rinnovato la Curia Romana, stabilisce infatti che "il Consiglio … approfondisca la dottrina sociale della Chiesa, impegnandosi perché essa sia largamente diffusa e venga tradotta in pratica presso i singoli e le comunità (art. 143)".

Non è senza interesse notare che, benché l'insegnamento sociale della Chiesa sia uno strumento di discernimento (e di evangelizzazione) per la comunità cattolica, secondo le indicazioni della Gaudium et Spes, esso è anche uno strumento che la Chiesa ha, per così dire, la pretesa di mettere a disposizione anche dei non cristiani e dei non credenti perché la dottrina sociale è un sapere secondo ragione, illuminato dalla fede, e trova la sua fonte nella Rivelazione, Sacra Scrittura e la Tradizione viva della Chiesa, ma anche nella legge naturale.

 

2.         Così definiti i compiti del PCJP, si può pensare che il tema della famiglia non rientri in modo specifico nelle sue competenze, competenze alle quali, nell’ambito di ogni amministrazione bisogna essere attenti.  Ciò detto, quello della famiglia è comunque un tema di grande interesse per il PCJP: si tratta, infatti di uno di quei temi che si dicono "trasversali". Per cui, tanto per fare un esempio, in materia di diritti dell'uomo, che è una delle tre grandi aree in cui è impegnato il Pontificio Consiglio, se si parla di diritto alla vita, o di diritti sociali non si può non parlare della famiglia. Del resto, nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, che è il volume, elaborato dal PCJP, che presenta in maniera complessiva e sistematica l'insegnamento sociale della Chiesa, così come è espresso nel magistero pontificio o episcopale, alla famiglia è dedicato il primo capitolo della seconda parte nella quale vengono trattati i cosiddetti "temi classici" della dsc (famiglia, appunto, lavoro, vita economica, comunità politica, comunità internazionale (sviluppo), ambiente e pace).

 

3.         Un'altra premessa è pure necessaria per comprendere l'attenzione della Chiesa per l'istituto familiare: la famiglia è una delle condizioni sociali della religione e, in particolare, è una delle condizioni sociali della religione cristiana. Senza la famiglia, non si capisce il Padre Nostro, non si capisce la Filiazione divina di Cristo, non si capisce la Sacra Famiglia, non si comprende Maria come Madre della Chiesa, non si capisce il principio della fratellanza fra gli uomini, considerati tutti figli di Dio e perciò aventi stessa dignità senza distinzione di razze, di religione o di classe ed essendo titolari di uguali diritti. La fede, poi, si impara, si trasmette in famiglia. Insomma, parlare di famiglia non è una "fissazione" della Chiesa, è difendere una delle sue basi sociali e ogni attacco portato alla famiglia si traduce, in definitiva, in un attacco alla religione cristiana.

 

4.         Ma, scendendo nel particolare: perché il PCJP si interessa alla questione della famiglia? Naturalmente, dovendosi occupare delle grandi questioni sociali che ruotano intorno ai temi della giustizia e della pace, il Consiglio non può non avere a cuore la famiglia che è la prima società umana e la cellula vitale della società, è il luogo dove si apprendono le virtù sociali. Ma, non solo, il PCJP ha a cuore i problemi della famiglia, essenzialmente e particolarmente, in ordine alla questione del bene comune. E questo in due sensi.

A. Un primo senso. Uno dei principi fondamentale della dottrina sociale della Chiesa, che “offre principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione” è quello del bene comune. Un principio, questo trattato ampiamente e magistralmente nella Pacem in Terris (PT) di cui ricorre quest’anno il 50° anniversario. Giovanni XXIII, riprendendo la definizione che ne aveva dato nella Mater et Magistra, spiega in questi termini il bene comune: "il bene comune consiste nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona" (PT, 35). La nozione è, poi, ulteriormente arricchita quando l’enciclica afferma che l’attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e doveri della persona (PT, 36), che elementi fondamentali sono un ordinamento giuridico in armonia con l’ordine morale (PT, 43), la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica ecc. Ma ciò che è qui importante considerare è la rilevanza che assume, per la persona umana, la famiglia, al fine di creare le condizioni necessarie per il proprio lo sviluppo integrale e il proprio inserimento positivo nella vita sociale (Compendio della dsc, n. 227). E’ questa una considerazione intuitiva che si può fare senza alcuna necessità di ricorrere a studi sociologici o psicologici.

B. Un secondo senso: la famiglia stessa, di cui va riconosciuta la soggettività e la priorità rispetto alla società e anche allo Stato, va considerata un bene comune. In questo senso si comprende meglio l’altra caratteristica del bene comune secondo la quale il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto ma, essendo di tutti e di ciascuno, è e rimane comune perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo (Compendio della dsc, n. 164). In un bel libro pubblicato un anno fa dal Prof. Stefano Zamagni e da sua moglie, Prof.ssa Vera, è spiegato molto chiaramente questo concetto della famiglia come bene comune e, di conseguenza, come entità che, come “tutti i corpi intermedi”, è tenuta a portare il suo specifico contributo all’attuazione del bene comune (PT,32). Partendo dalla premessa che nelle nostre società si è passati, nell’ultimo trentennio, dal favor iuris alla neutralità nei confronti della famiglia perché il bene umano comune è stato sostituito dal bene umano individuale, i coniugi Zamagni fanno propria la definizione del sociologo Donati che individua quattro elementi costitutivi del genoma della famiglia: il dono, la reciprocità, la generatività, la sessualità come amore coniugale. La famiglia, è dunque, una comunità di vita nella quale questi quattro elementi sono combinati fra loro. Ebbene, prendendo in considerazione la famiglia, si capisce più facilmente il concetto di bene comune dal momento che, grazie ai vincoli di affetto o anche, in certi casi, di “dovere”, per così dire morale,  si comprende in modo intuitivo che il bene di ogni familiare può essere raggiunto solo con l’opera di tutti e , soprattutto, che il bene di ognuno non può essere goduto se non lo è anche dagli altri (cfr. Zamagni, S. e V., Famiglia e lavoro, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2012, pp. 83-114).

Ma l’interesse del PCJP per la famiglia è motivato anche da altre e più concrete ragioni, alcune delle quali elencherò solo rapidamente:

·         la famiglia è, in molti Stati, il più efficace “ammortizzatore sociale”: difesa dei poveri, dei disoccupati…;

·         la famiglia, in molti Paesi, continua ad essere il luogo della cura: difesa degli anziani e degli invalidi;

·         la famiglia continua, malgrado tutto, ad essere la prima fonte di natalità: conosciamo tutti le conseguenze sociali della denatalità in relazione ai nostri sistemi di sicurezza sociale.

 

5.         Perché assume oggi toni drammatici la difesa della famiglia quale istituto?

A parte le gravi conseguenze di carattere sociale, non si può non sottolineare come la gravità della crisi della famiglia sia una spia della crisi antropologica denunciata con allarme da Benedetto XVI (cfr. Caritas in Veritate, n. 75). Alla “disunione” dell’essere umano che non ha più chiaro il senso della sua identità fa riscontro la crisi della famiglia. Cambiamenti nell’istituto familiare - istituto che peraltro è sempre esistito - si sono succeduti in tutti i contesti storici, ma ciò che attualmente impressiona è l’accelerazione con la quale oggi avvengono questi cambiamenti, con la dannosa conseguenza, fra l’altro, che questa accelerazione restringe i tempi dell’esperienza… (cfr. Zamagni, op cit. p. 83-84).

 

In realtà, la crisi della famiglia comporta quella dell’istituto del matrimonio. Pur non essendo, questa, la sede per affrontare tale grave problematicità, non si può non attirare l’attenzione su alcune questioni implicate.

La questione di cosa si intenda per libertà: l’affermarsi sempre maggiore di una cultura individualista al posto di una cultura solidaria e quindi di cambiamento profondo della cultura di tutta una civiltà.

La questione delle istituzioni: se sono le istituzioni ad attaccare un’istituzione, ogni governo della situazione diventa impossibile e le distanze fra cittadini e istituzioni si ingrandiscono forzatamente.

La questione delle lobby, molto attive, come è risaputo, nell’ambito familiare, basti pensare al “matrimonio per tutti” o a tutto ciò che ruota intorno al concetto del “diritto al figlio”. In un’epoca di disaffezione nei confronti della politica e della partecipazione, l’azione di queste lobby può arrivare ad incidere anche sul concetto di democrazia.

 

Cosa fare di fronte ad una così critica situazione?

Non cadere in depressione: la famiglia ancora sussiste, così come il “desiderio” di famiglia!

Successivamente, “armarsi” di conoscenze e trovare il punto debole da un punto di vista “tecnico” delle proposte che vengono ideologicamente avanzate e votate. “Armarsi” di coraggio per combattere la “buona battaglia”.