Senza lavoro non c'è dignità: Presentazione del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (Mazara del Vallo, 11 gennaio 2014)

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Lavoro decente

"Senza lavoro non c'è dignità"

Presentazione del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa

Mazara del Vallo 11 gennaio 2014

Flaminia Giovanelli

Sottosegretario

Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

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         Un episodio emblematico della vita del Beato Giovanni XXIII

 

         A poco meno di un mese dalla canonizzazione di Papa Giovanni XXIII, vorrei cominciare questo incontro con il rievocare una vicenda della vita giovanile di Papa Roncalli. Si tratta di un episodio emblematico, per più versi, e che ritengo utile per abbordare il tema proposto da Don Francesco. Cioè presentare il Compendio della dottrina sociale della Chiesa nel quadro più ampio del tema del lavoro.

 

         Nel 1909, meno di vent'anni dopo la pubblicazione della Rerum Novarum, il Vescovo di Bergamo, Mons. Giacomo Radini Tedeschi, appoggiò il primo sciopero di una associazione di operai cattolica. Questo sciopero riguardava la tessitura Zopfi a Ranica, in provincia di Bergamo. Accanto a lui, in difesa degli operai e nella promozione di una sottoscrizione in loro favore, c'era don Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, che di Mons. Radini Tedeschi era allora il segretario. La vicenda arrivò fino al Papa, Pio X, che, alla fine dei quasi due mesi di sciopero, così scriveva al Vescovo di Bergamo: «Intorno allo sciopero... qui non hanno fatto la migliore impressione né le adesioni, né le offerte che lo susseguirono. Condannando in massima gli scioperi…, ci siamo limitati a manifestare… la nostra dolorosa sorpresa, anche per le conseguenze che ne derivano. Però se gli apprezzamenti della sua relazione sulla ingiustizia e malafede dell’industriale sono bene fondati, non si può disapprovare quanto ella prudentemente ha creduto di fare nella piena conoscenza del luogo, delle persone, delle circostanze. Nella speranza poi che ella stesso ci fa concepire, che sia vicina la soluzione con un pacifico accordo, colla benedizione apostolica, che le impartisco di cuore, mio confermo suo affezionatissimo Pius P.P. X»[1].

         Questo episodio, come dicevo, è emblematico sotto vari aspetti. Dimostra, infatti

         1: come il lavoro sia un punto nodale fra la giustizia e la pace

         2: come il lavoro sia tema propulsivo e centrale della dottrina sociale della      Chiesa

         3: come il comportamento del Vescovo e del Papa siano paradigmatici   dell'elaborazione e applicazione della dottrina sociale della Chiesa.       

 

         Il lavoro, punto nodale fra la giustizia e la pace

 

         Il primo: il lavoro, forse oggi ancora più di allora, è il punto in cui si snoda il rapporto fra la giustizia e la pace.  Infatti, le parole che scriveva il giovane Roncalli a sostegno dello sciopero di Ranica anticipano quelle che scriverà nella Pacem in terris più di cinquant'anni dopo: “La pace - scriveva nel 1909 - è la missione del sacerdote. Ma la  pace è la tranquillità dell’ordine[2] e ordine vuol dire rispetto della  giustizia e dei diritti di ciascuno. Noi siamo tutt’altro che amici di qualunque        sciopero, ci auguriamo che questo sia l’ultimo... Ma  quando... fosse apertamente violata la giustizia, rivendichiamo il nostro diritto ...di dire legittimo lo sciopero e di aiutare chi combatte per ricomporre quell’ordine sociale di cui si avvantaggiano insieme il capitale ed il lavoro”.[3]

         Ecco, con i diritti del lavoro violati, e, ancora di più, con il lavoro che non c'è, la pace sociale è in pericolo.

         Lo sciopero di Ranica riguardava essenzialmente la rivendicazione della libertà di associazione, uno degli elementi che definiscono il lavoro "decente", principio coniato dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro e che Papa Benedetto ha ripreso nella sua enciclica sociale Caritas in veritate dandone una sintetica e più ricca descrizione. "Un lavoro - scriveva il Papa Emerito - che, in ogni società, sia l'espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa"[4].

         Inoltre, la questione del lavoro "decente", dignitoso, è cruciale nella fase di transizione epocale che stiamo vivendo, fase caratterizzata dal fenomeno della globalizzazione. Infatti, se la visione del lavoro e dei suoi diritti, così come descritta nella Caritas in veritate, costituiscono un dato acquisito per i Paesi occidentali - anche se la disoccupazione è dilagante e i diritti del lavoro non sono sempre rispettati - assai diversa è la situazione nei Paesi poveri e anche nei cosiddetti Paesi emergenti. Ora, con la globalizzazione e per la competitività esasperata che la caratterizza, diminuisce la povertà assoluta - quella di chi dispone di meno di 1,25 dollari al giorno - ma cresce considerevolmente la povertà relativa, cioè le diseguaglianze fra cittadini dei paesi sviluppati e anche, se non di più, nei paesi poveri o emergenti. E questo aumento riguarda anche ciò che avviene fra Paesi. L'aumento della diseguaglianza globale è efficacemente reso dal seguente confronto: nel 1820 la distanza che separava i paesi ricchi dai paesi poveri era da 3 a 1; oggi è di 100 ad 1.

         E, come dicevo, la globalizzazione ha conseguenze dirompenti sulla questione del lavoro. Lo si sa bene qui in Sicilia, dove si è testimoni di un fenomeno migratorio che si intensifica in modo massiccio e assume forme nuove.

         Il fatto è che il mondo ha vissuto per molto tempo a compartimenti stagni. L’enorme massa di poveri assoluti è sempre esistita, ma con la difficoltà di movimento, la porta di comunicazione tra il mondo dei poveri e il mondo dei ricchi era sostanzialmente chiusa e nei paesi sviluppati si poteva ignorare il fatto che nelle filiere internazionali del prodotto (per esempio i «coloniali», come caffè e tè…) i poveri, anzi, i poverissimi, fossero schiacciati da salari di mera sussistenza.
         Oggi, invece, la globalizzazione, ha reso vicini - anche se non fratelli[5] - gli ultimi del mondo con i ricchi o anche semplicemente con chi sta meglio di loro, facendo incrociare i loro destini in modo concreto: con le aumentate possibilità di delocalizzazione della produzione, i poveri sono diventati, per cos' dire, «esercito di riserva» di manodopera - composto, in gran parte, da donne e bambini -  facendo aumentare enormemente il potere contrattuale dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori nei Paesi ricchi. E le conquiste salariali e di tutela ottenute da questi ultimi sono diventate, per effetto di tale novità, improvvisamente obsolete e insostenibili. A fronte della concorrenza di un grande «esercito di riserva», nei Paesi di origine o in quelli di immigrazione, l’unica strada sembra quella di accettare condizioni salariali molto più basse per evitare la minaccia di chiusura o di delocalizzazione[6]. Considerando che le condizioni di lavoro, specie nei Paesi poveri sono tali da raggiungere a volte forme di schiavitù[7], si capisce facilmente quale bisogno ci sia di un nuovo riequilibrio mondiale, particolarmente nel settore del lavoro a rischio di compromettere la convivenza pacifica fra le nazioni.

 

         Il lavoro, tema propulsivo e centrale della Dottrina sociale della Chiesa

 

         Secondo aspetto emblematico dell'episodio cui ho fatto riferimento all'inizio: il lavoro è tema centrale e propulsivo della dottrina sociale della Chiesa.

         L'episodio di Ranica, con la presa di posizione del Vescovo di Bergamo in favore degli operai, aveva luogo meno di vent'anni dopo la pubblicazione dell'enciclica Rerum novarum che segna un nuovo inizio e un sostanziale sviluppo dell'insegnamento sociale della Chiesa[8]. Infatti, furono proprio le condizioni di lavoro disumanizzanti all'epoca della rivoluzione industriale della fine del XIX secolo, che determinarono la Chiesa ad intervenire in modo nuovo con un nuovo discernimento della situazione esplicitato, appunto, dall'enciclica Rerum novarum[9] di Papa Leone XIII. Questo documento affrontando la prima grande questione sociale, la questione operaia, con un metodo che diventerà un "paradigma permanente" per gli sviluppi successivi della dottrina sociale, è diventato, allo stesso tempo, il documento ispirativo e di riferimento dell'attività cristiana in campo sociale[10].

         Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, il volume elaborato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace pubblicato quasi dieci anni fa, che espone in maniera sintetica l'insegnamento sociale della Chiesa, oltre a ripercorrerne rapidamente la storia dal 1891 al 2004 nel susseguirsi delle lettere encicliche o apostoliche cosiddette "sociali" dalla Rerum novarum alla Centesimus annus[11] - da allora un'altra fondamentale ne è stata pubblicata, nel 2009, la Caritas in veritate, da Benedetto XVI - analizza, nel capitolo VI della II.a parte, il lavoro umano, uno dei sette temi definiti "classici" della dottrina sociale.

         Il tema del lavoro è esposto con grande chiarezza nel Compendio, rimando, quindi alla lettura del Volume per averne un'idea più completa, ma vorrei mettere brevemente in risalto alcuni punti focali di quella che, secondo la definizione che ne diede il Beato Giovanni Paolo II nella Laborem exercens è "la chiave della questione sociale"[12] In quel documento, Papa Wojtiła approfondisce la visione personalista del lavoro che, "actus personae", è espressione essenziale della persona umana, la quale è, a sua volta, per ciò stesso, misura della dignità del lavoro. E' così che la Laborem exercens argomenta, in modo incisivo, intorno alle due dimensioni del lavoro, quella oggettiva e quella soggettiva, dove, quella oggettiva è "l'insieme di attività, risorse, strumenti e tecniche di cui l'uomo si serve per produrre, per dominare la terra, secondo le parole del Libro della Genesi"[13] e quella soggettiva è "l'agire dell'uomo in quanto essere dinamico, capace di compiere varie azioni che appartengono al processo del lavoro e che corrispondono alla sua vocazione personale"[14]. Al lavoro in senso soggettivo - specifica il Beato Giovanni Paolo II - " partecipa l'uomo intero, il corpo e lo spirito, indipendentemente dal fatto che sia un lavoro manuale o intellettuale"[15]. Va da sé, secondo l'impostazione personalista, che "le fonti della dignità del lavoro si devono cercare soprattutto non nella sua dimensione oggettiva, ma nella sua dimensione soggettiva"[16].

         Sempre l'impostazione personalistica, così marcatamente sottolineata dalla Laborem exercens e poi ripresa dall'altra enciclica commemorativa della Rerum novarum, la Centesimus annus, inquadra le relazioni fra il lavoratore, uomo o donna che sia, inserito nel nucleo familiare da una parte, e lo Stato cui compete il dovere di promuovere il diritto al lavoro con politiche attive del lavoro dall'altra, lasciando tuttavia che ci sia un libero processo di auto-organizzazione. Infatti, "si deve fare di tutto - come si legge nella Laborem exercens - perché l'uomo ..... possa conservare la consapevolezza di lavorare «in proprio»"[17].E' centrale, infine, il tema dei diritti dei lavoratori declinato nella sua vasta gamma: diritto alla giusta remunerazione, diritto di associazione, diritto di sciopero, diritto al riposo, diritto alla sicurezza sul lavoro, il diritto alla pensione ed altri diritti che sono stati compendiati nel concetto del "lavoro decente" di cui ho parlato prima. Tali diritti, non vanno disgiunti, ovviamente, dai doveri dell'uomo al lavoro.

 

Elaborazione e applicazione della dottrina sociale della Chiesa

E arrivo alla mia terza considerazione.

Leggendo attentamente in particolare le parole finali della lettera di Papa Pio X al Vescovo di Bergamo, si trovano indicazioni importanti in ordine alla elaborazione della dottrina sociale e alla sua applicazione. Dopo aver affermato la sua reticenza rispetto allo sciopero, il Papa scrive: “Però se gli apprezzamenti della sua relazione sulla ingiustizia e malafede dell’industriale sono bene fondati, non si può disapprovare quanto ella prudentemente ha creduto di fare nella piena conoscenza del luogo, delle persone, delle circostanze. Nella speranza poi che ella stesso ci fa concepire, che sia vicina la soluzione con un pacifico accordo, colla benedizione apostolica, che le impartisco di cuore, mio confermo suo affezionatissimo Pius P.P. X»[18].

         Queste parole esprimono efficacemente il metodo di elaborazione della dottrina sociale che è il discernimento. Infatti, questa dottrina nasce dal discernimento, è essa stessa discernimento e al discernimento è finalizzata. Ci sarebbe molto da dire sul concetto del discernimento che è, per così dire, riemerso grazie a Papa Francesco. Ma non è questo il momento.

         Tornando al meccanismo del discernimento, questo segue la dinamica del "vedere, giudicare, agire". Tale dinamica si inserisce nella tradizione della militanza cristiana nel sociale e più precisamente in quella che fa capo alla Jeunesse ouvrière chrétienne, fondata dal Card. Cardijn nel 1925. Ancora oggi i giovani di questa associazione fanno la loro “revisione di vita” seguendo le tre fasi , appunto, del vedere, giudicare e agire.

         Applichiamo, allora, questa dinamica al nostro esempio. Dopo la constatazione dei fatti "la piena conoscenza del luogo, delle persone, delle circostanze" scrive il Papa, e il giudizio, ancora nelle parole di San Pio X,  "gli apprezzamenti della sua relazione sulla ingiustizia e malafede dell’industriale", il Vescovo di Bergamo passa all'azione "non si può disapprovare quanto ella prudentemente ha creduto di fare" e ottiene l'approvazione del Papa il quale, come direbbe il giovane Roncalli, è in realtà tutt'altro che amico di qualunque sciopero.

         E' importante, inoltre, tener conto di altre due indicazioni metodologiche che si possono trarre dall'episodio di Ranica. La prima consiste nel sottolineare come l'opposizione "metodo induttivo - metodo deduttivo" sia una falsa opposizione: il cristianesimo è inseparabilmente ortoprassi e ortodossia [19]

          La seconda indicazione di metodo consiste nel mettere in evidenza coma la Chiesa partecipa alla elaborazione della dottrina sociale.

         Infatti, si legge al n. 79 del Compendio: La dottrina sociale è della Chiesa perché la Chiesa è il soggetto che la elabora, la diffonde e la insegna. Essa non è prerogativa di una componente del corpo ecclesiale, ma della comunità intera: è espressione del modo in cui la Chiesa comprende la società e si pone nei confronti delle sue strutture e dei suoi mutamenti. Tutta la comunità ecclesiale — sacerdoti, religiosi e laici — concorre a costituire la dottrina sociale, secondo la diversità di compiti, carismi e ministeri al suo interno.

         I contributi molteplici e multiformi — espressioni anch'essi del  « soprannaturale senso della fede di tutto il Popolo » — sono assunti, interpretati e unificati dal Magistero, che promulga l'insegnamento sociale come dottrina della Chiesa. Il Magistero compete, nella Chiesa, a coloro che sono investiti del « munus docendi », ossia del ministero di insegnare nel campo della fede e della morale con l'autorità ricevuta da Cristo. La dottrina sociale non è solo il frutto del pensiero e dell'opera di persone qualificate, ma è il pensiero della Chiesa, in quanto è opera del Magistero, il quale insegna con l'autorità che Cristo ha conferito agli Apostoli e ai loro successori: il Papa e i Vescovi in comunione con lui[20].

 

         Il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa

         A questo punto spero di avervi introdotto in un modo forse un po' originale e per così dire "induttivo" al Compendio. Darò, quindi, solo alcuni ulteriori elementi.

         1. Come ha avuto origine l'elaborazione di questo strumento di discernimento.

         2. Come è strutturato.

         3. Alcune considerazioni.

         3.1    Lo scopo ultimo di questo strumento: evangelizzare il sociale

         3.2    Il cuore del Compendio e della dottrina sociale della Chiesa: la persona umana e la visione cristiana della persona umana.

         3.3    Corretto utilizzo del Compendio.

         3.4    Il Compendio ha dieci anni.

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[1]    Lo sciopero, che si svolse senza disordini, presso la tessitura Zopfi di Ranica, in provincia di Bergamo, ed è ancora ben vivo nella storia locale e nella memoria del sindacalismo cattolico, aveva a che vedere più che con rivendicazioni di aumenti salariali, con la libertà di associazione, cfr. Roncalli, M., Un secolo fa il primo sciopero dei cattolici, in Avvenire, 12. 10. 2009.

[2]    "La Pace, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell'ordine stabilito da Dio", queste le parole iniziali della Pacem in terris.

[3]    testo di uno scritto riportato da Marco Roncalli, pronipote e biografo di Giovanni XXIII in un'intervista concessa a  F. Anselmo, in: Giovanni XXIII, idee ed eredità cinquant'anni dopo, in formiche, 8.6.2013.

[4]    Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 63.

[5]    cf. Caritas in veritate, n. 19.

[6]    cf. Becchetti, L., La porta del tempo. Lampedusa, la crisi, la via d'uscita, in Avvenire, 8 agosto, p.1.

[7]    Si pensi, al crollo del Rana Plaza, nell'aprile dell'anno scorso, nel quale morirono più di 1.100 persone, e all'incendio della fabbrica Aswad, in ottobre sempre del 2013, entrambi incidenti avvenuti nel Bangladesh.

[8]    cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (CDSC), n. 87.

[9]  cf. CDSC, n. 87-88.

[10] ibid., n. 90; 89.

[11]  cf. CDSC, n. 87-104, i seguenti sono i documenti passati in rassegna:  Leone XIII, Rerum novarum, 1891; Pio XI, Quadragesimo anno, 1931; Pio XII, Radiomessaggio per il 50° anniversario della Rerum novarum, 1941; Giovanni XXIII, Mater et magistra, 1961 Pacem in terris, 1963; Paolo VI, Populorum progressio, 1967, Octogesima adveniens, 1971; Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 1981, Sollicitudo rei socialis, 1967, Centesimus annus, 1991.

[12]  Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Laborem exercens (d'ora in poi L E), n. 3.

[13]  CDSC, n. 270.

[14]  ibid.

[15]  L E, n. 24.

[16]  L E, n. 6.

[17]  L E, n. 15.

[18]  Lo sciopero, che si svolse senza disordini, presso la tessitura Zopfi di Ranica, in provincia di Bergamo, ed è ancora ben vivo nella storia locale e nella memoria del sindacalismo cattolico, aveva a che vedere più che con rivendicazioni di aumenti salariali, con la libertà di associazione, cfr. Roncalli, M., Un secolo fa il primo sciopero dei cattolici, in Avvenire, 12. 10. 2009.

[19]  cf. Giovanni Paolo II, Catechesi tradendae, n. 22.

[20]  CDSC, n. 79.