CONFERENZA “PEOPLE AND THE PLANET FIRST:
“THE IMPERATIVE TO CHANGE COURSE”
CIDSE e Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
2-3 LUGLIO 2015, ROMA
Riflessioni sintetiche della 1a giornata
3 luglio 2015
Mi è stato chiesto di condividere le mie impressioni dopo la giornata di ieri. Lo faccio ben volentieri. Si tratterà di impressioni/emozioni. Questo non solo per il mio essere donna, ma perché il nostro incontro di ieri ha suscitato in me anche un'ondata di emozioni: tanti amici che conosco da anni, alcuni dei quali rivedo dopo anni, che, insieme ad altri giovani amici, si ritrovano tutti insieme, a Roma - la casa comune della cattolicità ma anche la città dove, come nella Chiesa, e come recita lo slogan del giubileo "nessuno è straniero" . Ecco, questi amici si ritrovano a Roma per celebrare il cinquantenario della CIDSE, un gruppo di persone che, sotto l'impulso di un grande avvenimento di Chiesa, come è stato il Concilio Vaticano II, si impegna da 50 anni, nell'alternarsi delle generazioni, per migliorare il mondo, per portarvi più giustizia e più pace, o, piuttosto, per cercare di realizzare l'essenza del cristianesimo, che è "congiungimento della terra con il cielo"[1]. Anche per San Giovanni XXIII il "dualismo" andava superato! (Moema). Una fase di questo processo di "congiungimento" l'abbiamo vissuta ieri sera durante la celebrazione della Messa alla Pineta Sacchetti, non solo per il luogo così evocativo in tanti sensi, nel senso estetico, naturale e umano, ma anche per il pensiero finale espresso dal Cardinale Turkson commentando la campana dell'impegno, della chiamata all'azione, che Heinz aveva collocato davanti all'altare: l'azione senza preghiera non porta frutto.
Un incontro inclusivo e di servizio
Prima di tentare di dire in estrema sintesi il senso che mi è sembra di poter ricavare dalla giornata di ieri, vorrei appena notare con compiacimento lo sforzo di realizzare un incontro caratterizzato dall'inclusione. E' stato detto più volte: i partecipanti, benché, accomunati da uno stesso tipo di sensibilità, rappresentavano istituzioni cattoliche, organizzazioni di sviluppo, attivisti, politici e uomini e donne di scienza. Un incontro caratterizzato anche dalla consapevolezza della necessaria interconnessione fra le persone, i gruppi e le idee.
A queste ne aggiungerei anche un’altra, che nel vocabolario della Chiesa cattolica, è meglio descritta come spirito di servizio. Infatti, credo sia questo il senso dell'intenzione espressa più volte dai partecipanti, quella di voler essere il megafono dell'enciclica Laudato Si'. Un megafono è uno strumento che, se ben funzionante, trasmette ed amplifica, è al servizio del messaggio e non lo deforma.
Una cultura della cura reciproca
Una cultura della cura reciproca: ecco, direi che è questo, in estrema sintesi, il concetto, articolato, che è tornato più volte. Dobbiamo costruire una cultura della cura reciproca. Alcune brevissime considerazioni sui tre elementi che compongono questo concetto.
La cultura. In questo anno 2015 in cui celebriamo i 50 anni della CIDSE, celebriamo anche il cinquantenario della chiusura del Concilio Vaticano II e della pubblicazione della Costituzione pastorale Gaudium et Spes. Documento, questo, che, oltre che essere all'origine della creazione di quello che poi è divenuto il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha anche trattato tanto diffusamente e profondamente il tema della cultura, dedicandovi l'intero capitolo II°[2]. Un tema, ancora, questo, che venne approfondito nel celebre discorso pronunciato da San Giovanni Paolo II all'UNESCO nel 1980, sede nella quale ne diede una definizione a mio avviso magistrale: "La cultura è ciò per cui l'uomo in quanto uomo diventa più uomo, «è» di più, accede di più all'«essere»"[3].
Ho voluto citare queste parole pronunciate dal grande paladino dei diritti umani del secolo scorso, perché insito in esse vi è il concetto di "dignità", che pure abbiamo sentito evocare più volte ieri nell'ambito della difesa dei poveri, dei piccoli, dei popoli autoctoni.
Una cultura della cura. Il Cardinale Turkson lo ha espresso chiaramente nel suo excursus storico con il quale ha ripercorso le tappe del magistero pontificio con riferimento ai temi ambientali. Con la Laudato Si', si è passati dal concetto dell'uomo e della donna che amministrano il creato a quello dell'uomo e della donna che hanno cura del creato. Anzi, che amano responsabilmente il creato, ha detto il Cardinale. Insomma si è passati da una visione, una spiritualità, di tipo "doveristico" - siamo amministratori del creato e dovremo rendere conto a Dio di cosa ne abbiamo fatto, come i detentori dei talenti del Vangelo[4] - ad una visione in cui, senza trascurare la responsabilità verso il creato, è preponderante l'amore che gli è dovuto in quanto opera di Dio creatore. Se amiamo Dio, come possiamo non amare ciò che Dio ha creato? A partire dagli esseri inanimati, alla natura vivente, agli uomini e alle donne che, per essere creati ad immagine di Dio, sono nostri fratelli e sorelle.
Una cultura della cura reciproca. Anche il concetto di reciprocità è stato richiamato (Naomi K.) in relazione alla cura. E in effetti, quando, superando la paura di cadere nel panteismo, ammiriamo e ci prendiamo cura di un albero in quanto creatura di Dio, non ne riceviamo forse noi stessi un beneficio? E che dire della cura prestata ai poveri? Quando li si conosce sul serio non sono loro a dare più che a ricevere? Il fatto è che spesso, per circostanze varie, non li si avvicina e allora, anche il discorso ecologico diventa solo un discorso "verde". Vale la pena, credo, rileggere alcune parole di Papa Francesco a questo riguardo che mi sembrano particolarmente acute e anche severe: "Questa mancanza di contatto fisico e di incontro (con gli esclusi), a volte favorita dalla frammentazione delle nostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali. Ciò a volte convive con un discorso “verde”"[5].
Una conversione ecologica
E' necessaria una conversione ecologica. Forse l'espressione in se stessa non è stata pronunciata durante la giornata di ieri, ma, a parte il fatto di essere stata evocata dal Santo Padre nella Laudato Si' riprendendo un concetto di San Giovanni Paolo II, la situazione nella quale ci ha trascinato la cultura del relativismo è di una gravità tale che per creare una cultura della cura è necessaria, a mio avviso, una autentica conversione, cioè una rinuncia al male, che ha anche una dimensione comunitaria[6]. Per vedere quale sia, nell'opinione di Papa Francesco, la situazione dalla quale dobbiamo partire - quella in cui i deserti esteriori si sono moltiplicati perché i deserti interiori sono diventati così ampi[7] - vi invito a rileggere il n. 123 della Laudato Si' sul quale attirava la nostra attenzione suor Cécile ieri. Vale la pena farlo insieme: " La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: “lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili”. Se non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logica relativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori? E’ la stessa logica “usa e getta” che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno. E allora non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare"[8]. Ci sarebbero molte considerazioni da fare in merito, dirò solo che questo accostare esseri inanimati come i "diamanti insanguinati" o i "rifiuti", alle "pelli di animali in via di estinzione", ai bambini non nati e già scartati, descrive in modo tanto terribilmente efficace e impressionante i frutti di quella cultura del relativismo che ha fatto degenerare e diventare incivile[9] il mercato (che, pure, nato in ambito francescano) o che ha fatto contrarre il “debito ecologico” fra Nord e Sud del quale parla diffusamente il Papa al n. 51 dell'enciclica.
Tempi lunghi e tempi brevi
I tempi necessari per creare una cultura della cura del creato, ci ricordava saggiamente Mons. Steiner, sono tempi lunghi. Sappiamo bene che, ad esempio, strumenti giuridici nazionali e internazionali che sanciscono l'esistenza dei diritti umani non mancano, ma vediamo quanta fatica fanno ad essere applicati. Lo saranno solo quando una cultura dei diritti umani si sarà sedimentata.
Ciononostante, il tempo di agire per affrontare la questione ecologica, sia nei consessi internazionali, con i prossimi appuntamenti della seconda metà dell’anno (Conferenza sul finanziamento dello sviluppo di Addis Abeba, il Summit di New York per l’adozione dell’Agenda per lo sviluppo post-2015 o la COP21 di Parigi), che nella mobilitazione della società civile o anche a livello locale è venuto e, anzi, è connotato dall’urgenza. Del resto lo aveva ricordato lo stesso Papa Francesco nel Messaggio inviato a Lima nel novembre scorso: "Il tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo. Possiamo trovare soluzioni adeguate soltanto se agiremo insieme e concordi. Esiste pertanto, un chiaro, definitivo e improrogabile imperativo etico di agire"[10]. E ce lo ricorda anche la campana della CIDSE.
La comunicazione
Per l'efficacia del messaggio del Papa si rivela cruciale la comunicazione e la mobilitazione dell'opinione pubblica. Personalmente, credo che oltre ai vari suggerimenti fatti, specialmente quelli riguardanti lo studio di strumenti volti a rendere i contenuti dell'enciclica più accessibili soprattutto da parte dei poveri e delle comunità particolarmente colpite dai danni ambientali e dai cambiamenti climatici, la possibilità di accesso a testimonianze come quelle che sono state portate nel nostro incontro sarebbe molto vantaggiosa per una più vasta presa di coscienza della situazione.
La speranza
Infine, non sono mancate espressioni di speranza e di un certo ottimismo. La speranza è rappresentata anche dalla sensibilità delle giovani generazioni per la questione ambientale, da quanto si fa per formare una coscienza ecologica dei bambini in alcuni Paesi, una maggior presenza della donna anche nella mobilitazione per la cura dell'ambiente e, in definitiva, per l'enorme risorsa che rappresenta la persona umana dotato di libertà e di creatività. C'è un passaggio della Laudato Sì in cui il Papa, nel pieno della descrizione del "paradigma tecnologico" afferma che "è possibile, tuttavia, allargare nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale" e che - ecco un'immagine bellissima - "l’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa. Sarà una promessa permanente, nonostante tutto, che sboccia come un’ostinata resistenza di ciò che è autentico?"[11].
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[1] San Giovanni XXIII, Mater et Magistra, 1.
[2] Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, n. 53-62.
[3] San Giovanni Paolo II, Discorso all'UNESCO, 2 giugno 1980. Così seguita la definizione: "E' qui anche che si fonda la distinzione capitale fra ciò che l'uomo è e ciò che egli ha, fra l'essere e l'avere. La cultura si situa sempre in relazione essenziale e necessaria a ciò che è l'uomo, mentre la sua relazione a ciò che egli ha, al suo «avere», è non soltanto secondaria, ma del tutto relativa".
[6] Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1427, 1429.
[7] Laudato Si', n. 217. In questo numero Papa Francesco riprende l'espressione efficace usata da Papa Benedetto XVI, nell'Omelia per l'inizio del pontificato
[9] Calvi, M., Zamagni: uno stop al mercato quando diventa "incivile", in Avvenire, 19 giugno 2015
[10] Papa Francesco, Messaggio al Presidente della Repubblica del Perù in occasione della 20.a Conferenza degli Stati Parte alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, 27 novembre 2014.