Presentazione del Rapporto 2015 di 'Nessuno tocchi Caino' - Roma, 31 luglio 2015

Print Mail Pdf

nessunotocchicaino_Logo

Il Rapporto 2015 dell'Associazione Nessuno Tocchi Caino sulla pena di morte si è aperto con il Discorso rivolto da Papa Francesco alla Delegazione dell'Associazione internazionale di diritto penale il 23 ottobre dell'anno scorso, il 2014. Per questo il motivo, il Pontificio OCnsiglio della Giustzia e della Pace è stato invitato, il giorno 31 luglio 2015 alla presentazione ufficiale del rapporto. La dott.ssa Flaminia Giovanelli è intervenuta con il testo che segue.

DOWNLOAD [ITA]

____________________________________________

Il Rapporto dell'Associazione Nessuno Tocchi Caino sulla pena di morte di quest'anno si apre con il Discorso rivolto da Papa Francesco alla Delegazione dell'Associazione internazionale di diritto penale il 23 ottobre dell'anno scorso, il 2014.

            Questo il motivo che ha determinato l'invito che mi è stato rivolto a partecipare alla presentazione del Rapporto stesso. Invito per il quale ringrazio e che ho accolto con una certa cautela per la mia inadeguatezza a trattare di un argomento così specifico quale è la giustizia penale.

            Infatti, il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, un Dicastero della Santa Sede, ha un compito formativo, di sensibilizzazione, di promozione della giustizia e della pace. Per questo compito di formazione il Consiglio si serve essenzialmente dello strumento costituito dalla dottrina, o insegnamento, sociale della Chiesa. Uno strumento, questo, di discernimento in campo etico proposto non solo ai cristiani, ma a tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non, in quanto "i principi di valutazione, i criteri di giudizio e le direttive per l'azione"[1] che essa offre attingono alle fonti sia della Rivelazione che della natura umana. Le vie conoscitive della dottrina sociale sono, quindi, la fede e la ragione[2].

            In questa prospettiva, rientra fra i compiti del Pontificio Consiglio anche quello della  formazione ai diritti umani. Fra le attribuzioni del Dicastero, in questo settore, c'è anche quella di raccogliere notizie circa le violazioni dei diritti umani, di valutarle ed eventualmente segnalarle alle conferenze episcopali per l'intervento giudicato opportuno[3].

            In realtà, questo preciso campo di azione si è andato restringendo negli anni, non, purtroppo, per la diminuzione delle violazioni quanto per il progresso dei mezzi di comunicazione, per un impegno crescente della società civile e per una maggiore capacità di iniziativa autonoma da parte delle Chiese locali. A titolo esemplificativo e, purtroppo drammatico, che rientra nell'argomento del Rapporto, citerò il caso recentissimo della esecuzione di un cattolico pakistano il 10 giugno scorso. Quello di Aftab Bahur Masih, che ha trascorso 23 anni nel braccio della morte per un delitto del quale si è sempre proclamato innocente e che avrebbe commesso all'età di 15 anni. A niente sono serviti numerosi appelli di leader religiosi, di attivisti dei diritti umani, della Commissione nazionale Giustizia e Pace[4] e neanche l'intervento presso lo stesso Presidente del Pakistan, Mamoon Hussain, da parte dell'Arcivescovo di Karachi, Mons. Joseph Coutts, Presidente della Conferenza episcopale pakistana[5]. Le lettura dell'ultima lettera scritta da Aftab e pubblicata da Asianews è commovente e sconvolgente allo stesso tempo. Un concentrato in prima persona di considerazioni sulla situazione di un detenuto, in generale, e di un condannato a morte, in particolare[6].

            Riguardo al Discorso di Papa Francesco del 23 ottobre dell'anno passato che si legge in apertura del Volume, discorso chiaro e coraggioso, non ci sarebbe niente da aggiungere. Potrei, tuttavia, azzardare alcune considerazioni.

            Per avere una prospettiva più completa della visione del Papa credo sia opportuno  affiancare alla lettura del Discorso quella della Lettera indirizzata il 30 maggio 2014 ai Partecipanti al XIX Congresso internazionale, sempre dell'Associazione internazionale di diritto penale e del III Congresso dell'Associazione latinoamericana di diritto penale e criminologia.

            Due interventi così importanti a distanza di poco stanno a significare l'estrema importanza che il Papa attribuisce al tema della giustizia penale, della pena di morte e della questione carceraria in generale.

            E' evidente, inoltre, non solo l'interesse ma anche la conoscenza diretta della situazione. Del resto, quello della pena e della detenzione è uno di quei problemi che si capiscono solo facendone, in qualche modo, l'esperienza personale. Si ricorderà, ad esempio, la visita compiuta da Papa Giovanni XXIII al Carcere di Regina Coeli di Roma il 26 dicembre del 1958, occasione in cui aveva raccontato, in un discorso a braccio, di aver preso coscienza, da ragazzo, della situazione dei prigionieri quando un suo parente era finito in carcere per essere andato a caccia senza licenza. Io stessa, del resto sono stata per qualche anno testimone dei racconti drammatici della prigionia del Card. Van Thuan, Presidente del Pontificio Consiglio dal 1998 al 2002 il quale fu incarcerato dal regime vietnamita per 13 anni di cui 9 trascorsi in isolamento.

            Il discorso del 23 ottobre costituisce, poi, una ferma denuncia della situazione attuale. Faccio un semplice elenco dei mali, degli scandali, denunciati da Papa Francesco: l'incitazione alla violenza, alla vendetta, il "populismo penale" con la ricerca di capri espiatori, la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici, le esecuzioni extragiudiziali o extralegali, l'ergastolo come "pena di morte nascosta", le condizioni il più delle volte disumane della carcerazione, l'abuso della carcerazione preventiva, l'enorme numero di carcerati senza condanna, la tortura somministrata non solo come pratica della dottrina della sicurezza nazionale, ma come autentico "plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione", le sanzioni penali applicate a bambini ed anziani. La denuncia, poi, sotto un'altra prospettiva, della particolare gravità di due delitti. Il delitto della tratta delle persone, "delitto di lesa umanità" impossibile da commettersi senza la complicità, per azione od omissione degli Stati, e il delitto di corruzione, "male più grande del peccato".

            Nel suo Discorso il Papa denuncia, inoltre, le responsabilità di alcuni settori della politica e dei mezzi di comunicazione e richiama alle responsabilità i giuristi, la dottrina penale e anche i cristiani.

            Ora, la denuncia è un attributo della dottrina sociale della Chiesa. Si legge, infatti, nel Compendio della Dottrina Sociale : " La dottrina sociale comporta pure un compito di denuncia, in presenza del peccato: è il peccato d'ingiustizia e di violenza che in vario modo attraversa la società e in essa prende corpo. Tale denuncia si fa giudizio e difesa dei diritti disconosciuti e violati, specialmente dei diritti dei poveri, dei piccoli, dei deboli"[7].

            Bisogna riconoscere che la denuncia di Papa Francesco in presenza dei Delegati è particolarmente incisiva: "Queste non sono favole: voi lo sapete bene".

            Accanto a questo compito di denuncia, la Dottrina sociale ha anche il compito di annuncio con il quale "la Chiesa non persegue fini di strutturazione e organizzazione della società, ma di sollecitazione, indirizzo e formazione delle coscienze"[8]. E così fa Papa Francesco, sia nel Discorso del 23 ottobre che nella Lettera del 30 maggio 2014 che ho citato prima.

            Papa Francesco, seguendo la dottrina sociale, "annuncia" quando afferma come Giovanni Paolo II e il Catechismo abbiano condannato la pena capitale ribadendo il primato del principio pro homine. L'intrinseca e inviolabile dignità di ogni persona umana - alla quale, secondo la visione cristiana, la vita è stata donata dal Creatore, vita al cui rispetto si è tenuti, dal concepimento alla morte naturale - è ciò che ispira questo principio. Uccidere chi ha ucciso solo per affermare che uccidere è sbagliato è una contraddizione prima di tutto sul piano etico. Di fronte al principio pro homine, gli altri argomenti uati per condannare la pena di morte, come la possibilità di un errore giudiziale, oppure l'uso che ne fanno i regimi dittatoriali o anche la non dimostrabilità di un suo effetto dissuasivo passano, a mio avviso, in secondo piano.

            Papa Francesco "annuncia" anche quando propone il da farsi di fronte agli atti criminali, quando propone, cioè, il modello di "giustizia riconciliativa" che si basa sull'elemento antropologico dell'incontro di due dolori: quello della vittima che lo subisce e quello del carnefice[9]. Si tratta, afferma il Papa, "di rendere giustizia alla vittima non di giustiziare l'aggressore"[10]. Bisogna occuparsi della riparazione: "nelle nostre società tendiamo a pensare che i delitti si risolvano quando si cattura e condanna un delinquente...ma sarebbe un errore identificare la riparazione slo con il castigo...l'esperienza dice che l'aumento e l'inasprimento delle pene spesso non risolvono i problemi sociali e non riescono neppure a far diminuire i tassi di criminalità"[11].

            Papa Francesco "annuncia", inoltre, quando invita a cercare le cause profonde degli atti criminali anche nelle "disuguaglianze economiche e sociali, nelle reti della corruzione e nel crimine organizzato". Papa Francesco "annuncia", infine, quando propone vie di riconciliazione che solo apparentemente possono sembrare puro appannaggio della Chiesa o dei cristiani: la confessione e la contrizione.

            Esempi di buone pratiche, in questo senso, almeno in Italia, si moltiplicano.

 

 

 

[1]Paolo VI, Octogesima adveniens, n.

 

 

[2]Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 75

 

 

[3]cfr. Giovaani Paolo II, Motu Proprio Pastor Bonus, art. 142.

 

 

[4]cfr. http://www.ucanews.com/news/calls-for-mercy-as-christian-faces-imminent-execution-in-pakistan/73752

 

 

[5]cfr. ibid

 

 

[6]http://www.asianews.it/notizie-it/Cattolico-pakistano-impiccato,-ma-innocente:-l’ultima-lettera-di-Aftab-34475.ht

 

 

[7]Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n. 81.

 

 

[8]ibid

 

 

[9]cfr. Occhetta, F., Il carcere, la pena e la posizione della Chiesa, in La Civiltà Cattolica, Quaderno n. 3963-3964 dell'8 agosto 2015, III, 209-344, p. 274-283.

 

 

[10]Papa Francesco, Lettera del 30 maggio

 

 

[11]ibid.